Il lancio di droni e missili su Israele da parte dell’Iran alimenta nuove tensioni sui mercati, mentre le materie prime costano sempre più
Una pompa in un giacimento petrolifero JOE RAEDLE/GETTY IMAGES
Dall'oro al petrolio, la guerra alza i prezzi delle materie prime. Se già in precedenza la situazione non aveva dato segnali di stabilità, le conseguenze sui mercati del lancio di droni e missili su Israele da parte dell’Iran rischia di alimentare ulteriori tensioni, soprattutto per quanto riguarda il costo delle materie prime. In particolare, come riporta Il Sole 24 Ore, l’oro era già prima degli eventi bellici della notte tra il 13 e il 14 aprile ai suoi massimi storici, mentre il petrolio viaggiava sopra i 90 dollari al barile.
Una mossa da Teheran era attesa sin dallo scorso 1 aprile, il giorno in cui Israele aveva attaccato, distruggendola in parte, la sede dell’ambasciata iraniana a Damasco. Un allarme in questo senso era peraltro arrivato anche dagli Stati Uniti, certi di una rappresaglia da parte del paese del presidente Ebrahim Raisi. Poiché un vecchio adagio apprezzato dagli operatori del mercato recita “buy the rumor, sell the news” (compra sulle voci, vendi sulla notizia), si era dunque registrata a cavallo tra marzo e aprile una volatilità importante.
Non fossero bastate le tensioni geopolitiche, ad alimentare il rialzo dei prezzi di oro e petrolio hanno infatti contribuito anche diversi altri fattori. Innanzitutto, l'instabilità degli scenari economici globali e, di conseguenza, quelli relativi alle politiche monetarie delle varie banche centrali. Un secondo fattore, non meno incisivo, è rappresentato poi dalla speculazione messa in atto dai fondi di investimento, che sono tornati a scommettere sui rincari delle materie prime. Tanto da aver portato alcuni analisti newyorkesi a ipotizzare manovre sospette sul mercato dell’oro.
Per quanto riguarda il petrolio brent, le scommesse degli investitori hanno raggiunto il picco più alto degli ultimi due anni e mezzo. Rispetto a dicembre, quando il gruppo armato yemenita e filo iranianio Houthi ha iniziato ad attaccare le navi nel mar Rosso, complice anche la crescente scarsità della sua offerta, il suo prezzo è aumentato di più del 20%, toccando quota 92,18 dollari al barile il 12 aprile. Il dato è molto vicino al livello raggiunto dopo il fatidico 7 ottobre, data dell’attacco di Hamas contro Israele.
Il futuro prossimo si preannuncia intanto pieno di incertezze. A differenza della ritorsione dell'Iran, che era attesa da tutti gli operatori del mercato, quanto accadrà tra primavera ed estate è un’incognita. Per tale ragione, molti fondi e investitori privati potrebbero aspettare prima di scegliere i loro prossimi passi. Questi ultimi diventerebbero peraltro ancora più difficili nel caso in cui le potenze del golfo persico dovessero essere direttamente coinvolte nel conflitto: si pensi per esempio all’Arabia Saudita, uno dei principali produttori mondiali di greggio. Tale scenario, oggi improbabile, non è del tutto impossibile: nel 2019 gli stessi Houthi avevano colpito con dei missili alcuni impianti petroliferi sauditi, mentre nel 2022 si erano resi protagonisti di una manovra simile negli Emirati arabi uniti.
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