Nel ritorno dei quarti di Europa League i tecnici sembrano voler confermare le scelte dell’andata: 4-4-2 per il giallorosso, niente tridente pesante per il rossonero
Stefano Pioli e Daniele De Rossi. Getty
Uno solo resterà in piedi nell’arena, uno solo andrà in semifinale di Europa League. La retorica gladiatoria, che evapora dalle mura eterne dell’Urbe, per una volta non suona stucchevole. Ci sta. Roma o Milan? Daniele De Rossi o Stefano Pioli? L’Olimpico stanotte avrà la solita mistica da Colosseo. De Rossi ha lanciato una palla di fuoco nell’accampamento nemico: "Per loro è l’ultima spiaggia". Pioli l’ha raccolta senza scottarsi: "Dal momento che decide il passaggio del turno, è l’ultima spiaggia per entrambe". Chiaramente la situazione psicologica è diversa.
Alla vigilia della sua ultima partita da allenatore della Roma, persa 3-1 a San Siro contro il Milan (14-1-24), Mourinho spiegò: "Non sono Harry Potter, non ho la bacchetta magica". Evidentemente De Rossi è nato con una cicatrice sulla fronte e ha comprato una bacchetta di agrifoglio dal signor Olivander: 11 vittorie su 16 partite, 2 sole sconfitte, una contro l’Inter schiacciasassi, l’altra trascurabile a Brighton. Ha trascinato la Roma in zona Champions e sulla soglia di una semifinale europea. L’Urbe è ai suoi piedi, neanche sgommasse in Vespa. Dopo aver battuto i giallorossi all’Olimpico, alla terza del campionato, Pioli ragionò: "Spero di essere all’inizio o, per lo meno, a metà della mia storia rossonera. Sto bene con la squadra, con il club e con i tifosi. Ci toglieremo delle soddisfazioni". La stagione ha tradito le attese. La brutta partita d’andata e l’affannato pareggio col Sassuolo hanno reso ancora più elettrica l’aria. Anche Pioli sa bene quanto possano pesare la partita di stasera e il derby di lunedì sul futuro di tutti. Soprattutto il match di Roma e non solo perché porterebbe, a cascata, energia buona da spendere contro l’Inter. Un secondo posto blindato (che non è poco) e la seconda semifinale europea consecutiva, dopo lo scudetto inatteso, illuminerebbe ulteriormente di luce positiva il lavoro del tecnico.
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A San Siro, De Rossi cambiò la Roma, attrezzò un 4-4-2 con El Shaarawy lavoratore di fascia e sbancò. Tornò a Roma su un cavallo bianco, come da una gloriosa campagna nella Gallia Cisalpina. Non è che Daniele avesse scoperto la nuova legge della relatività, aveva semplicemente rafforzato le difese in faccia alla fascia forte del Milan, quella di Theo e Leao. La narrazione dell’impresa tattica forse è andata po’ lunga. De Rossi rifarà il giochino? Sembra di sì, con il solo Bove al posto dello squalificato Cristante, anche se a Trigoria ha tenuto caldo un 4-3-3 con doppio a terzini a sinistra (Angelino-Spinazzola). Anche Pioli sembra orientato a confermare e uomini e idee dell’andata. Si poteva pensare che, per sbarcarsi dalla gabbia di De Rossi, potesse esasperare l’attacco, per aprire altre bocche da fuoco: tridentone Chukwueze-Pulisic-Leao alle spalle di Giroud. Una soluzione che avrebbe avuto senso anche alla luce di quella vittoria all’alba del campionato, perché Loftus-Cheek, arretrato in mediana con Reijnders, trovò campo da cavalcare, procurò il rigore di Giroud, infierì in progressione e fu tra i migliori. Ma, almeno all’inizio, sembra deciso a non cambiare. La filosofia scelta per il match dell’anno: non cambiare abitudini tattiche, ma svolgerle meglio di quanto a San Siro, nella convinzione che la vera chiave dell’andata non sia stata tattica, ma etica. Concordiamo. Bravo El Shaarawy a raddoppiare su Rafa, ma il portoghese non ha mai avuto la voglia e la forza per strapparsi la rete di dosso e cercarsi altrove lo spazio per far male. Nessun rossonero, sulle seconde palle, ha dimostrato la fame e la rabbia dei giallorossi. Questo chiede Pioli prima di entrare nell’arena romana, snobbando la lavagna: cuore torrido, attenzione feroce, fame di gloria. La scelta del più fisico e agonistico Musah, per Bennacer, va in questa direzione. Spiega il tecnico: "Se ci difendiamo bene, di squadra, possiamo vincere". Guarda più all’orchestra che ai primi violini. Poi, è chiaro, per ribaltare il destino, servono i gol e, di conseguenza, serve un grande Leao.
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Leao ieri ha parlato in conferenza, come fa raramente. Quasi che, dopo la partitaccia dell’andata, la squadra lo avesse spinto avanti: "Mettici la faccia, a parole e in campo. Tocca a te". Rafa ha giurato che lo farà, consapevole di vivere il momento chiave della stagione. In quel 2-1 di campionato, il portoghese giocò un partitone e segnò una perla in rovesciata. Al Milan serve un remake. Ha buoni ricordi dell’Olimpico anche Pioli, tutto sommato. Nel suo primo anno al servizio del Diavolo, passeggiò sulla Lazio con gol di Calhanoglu, Ibrahimovic e Rebic. Al secondo anno, schienò la Roma con sigilli di Kessie e Rebic. Nella stagione dello scudetto, passò trionfalmente due volte: 2-1 alla Roma con gol di Ibra e Kessie e, soprattutto, superò la Lazio nel cuore della volata tricolore, quando un gol al 92’ di Tonali portò il Diavolo in vetta a +2 sull’Inter. Il mediano, alzato ad altezza punte, fu la mossa spiazzante, decisiva. Pioli sa inventarsi cose del genere e Reijnders ha la qualità per spostare le proprie funzioni all’interno del campo. De Rossi lo sa. L’assenza di Cristante, dominante a San Siro, è sottovalutata. Bove non può avere l’esperienza e la bussola tattica del compagno. Il Milan potrebbe trovare più varchi in transizione. Dybala e Lukaku proveranno a restituire l’offesa contro una squadra sbilanciata dalla necessità di rimonta. In copertina ci sono loro, gli attaccanti, gli eroi. Non si scappa. E’ notte da gladiatori.
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