Non tutti i controlli aziendali sono illegali: la Cassazione fa chiarezza sull’uso dei social per indagini interne e licenziamenti disciplinari
La possibilità di utilizzare un falso profilo sui social per monitorare la condotta di un dipendente sospettato di negligenze o comportamenti illeciti sul posto di lavoro è un tema che solleva numerosi interrogativi sulla privacy e sui diritti dei lavoratori. Tuttavia, con una sentenza del 2015, la Corte di Cassazione ha sancito che tale prassi, seppur ingannevole, può essere legittima in determinati contesti, a condizione che rispetti alcuni limiti stabiliti dalla legge. In particolare, la Corte ha stabilito che un datore di lavoro può creare un falso profilo per accertare comportamenti scorretti da parte di un dipendente, a patto che il controllo non violi la sua dignità e i principi di buona fede e correttezza.
La Vicenda che Ha Portato alla Sentenza
La sentenza della Corte di Cassazione in oggetto si inserisce in un caso di licenziamento per giusta causa, riguardante un dipendente accusato di negligenza nel suo operato. L'azienda aveva infatti ricevuto segnalazioni di assenteismo da parte del lavoratore, che aveva lasciato la sua postazione di lavoro incustodita, e in particolare, aveva violato norme di sicurezza aziendale. Il responsabile del personale, sospettando che il dipendente stesse compiendo altre azioni scorrette, decise di creare un falso profilo femminile su Facebook, con il fine di entrare in contatto con lui e verificare la sua condotta.
L'operazione si è svolta con l'invio di una richiesta di amicizia da parte del falso profilo e successivi scambi di messaggi tra il dipendente e il profilo finto, in orari e luoghi compatibili con l'orario di lavoro e la geolocalizzazione del dipendente. Dopo aver ottenuto prove di conversazioni svolte durante il lavoro, l'azienda avviò la procedura di licenziamento per giusta causa, accusando il lavoratore di aver messo a rischio la sicurezza aziendale.
Il dipendente, difeso da un avvocato, fece ricorso contro il licenziamento, sostenendo che il controllo fosse stato illecito, in quanto effettuato attraverso l'inganno. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10955 del 27 maggio 2015, ha respinto il ricorso e confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo che il comportamento del datore di lavoro non violasse i diritti fondamentali del lavoratore.
La Sentenza della Cassazione: Il Falso Profilo è Legittimo per Controllo Difensivo
La Corte di Cassazione ha argomentato che la creazione del falso profilo su Facebook da parte dell'azienda non violava le disposizioni dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970), in particolare l'articolo 4, che regola i controlli a distanza sull'attività lavorativa. La legge stabilisce che i controlli elettronici e a distanza siano consentiti solo in presenza di un accordo con le rappresentanze sindacali o a seguito di un'autorizzazione da parte dell'ispettorato del lavoro. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto che il controllo in questo caso non rientrasse nelle normali attività di sorveglianza del lavoro, ma fosse finalizzato a proteggere l'azienda da danni potenzialmente gravi, come il malfunzionamento degli impianti o rischi per la sicurezza dei lavoratori.
Secondo i giudici, il controllo non mirava tanto a monitorare la produttività del dipendente, quanto a prevenire e contrastare un comportamento illecito che potesse danneggiare l’azienda. Pertanto, il comportamento dell'azienda rientrava nel cosiddetto "controllo difensivo", un controllo finalizzato alla protezione degli interessi legittimi dell'azienda, come la sicurezza e il regolare funzionamento della produzione. La Corte ha specificato che, pur trattandosi di un controllo tramite un inganno (il falso profilo), non si configurava come una violazione dei diritti di privacy del lavoratore, in quanto l'obiettivo era evitare danni concreti all’impresa.
L'Importanza dei Principi di Buona Fede e Correttezza
Un aspetto fondamentale della sentenza è la conferma dei principi di buona fede e correttezza nel rapporto di lavoro. La Cassazione ha sottolineato che, pur in presenza di una condotta ingannevole, il datore di lavoro ha l’obbligo di agire nel rispetto della dignità del lavoratore e di non compromettere in modo eccessivo la sua privacy. In questo caso, il controllo effettuato attraverso il falso profilo non è stato considerato invasivo o lesivo dei diritti del dipendente, in quanto il comportamento illecito da parte di quest’ultimo non era stato un episodio isolato, ma un comportamento ripetuto nel tempo.
Inoltre, il controllo non ha avuto una durata continua e invasiva, ma si è limitato a un intervento circoscritto e mirato, finalizzato a chiarire un sospetto e a proteggere beni aziendali di rilevante importanza, come la sicurezza dei macchinari e l'efficienza dei processi produttivi. La Corte ha chiarito che, in situazioni simili, non è necessario che il controllo sia reso esplicito o che venga preventivamente concordato con i rappresentanti dei lavoratori, sempre che il fine perseguito sia la difesa dell’organizzazione aziendale e non la semplice verifica della prestazione lavorativa.
La Giurisprudenza e i Controlli Difensivi Occulti
La sentenza della Cassazione segna una tappa importante nell’evoluzione della giurisprudenza sui controlli difensivi occulti. La Corte ha infatti espresso un orientamento favorevole all’uso di tali misure, considerando legittimo l’impiego di stratagemmi per accertare comportamenti dannosi per l’azienda, sempre che non siano troppo invadenti e rispettino i diritti fondamentali dei lavoratori.
In particolare, la Corte ha rilevato che l’utilizzo di un falso profilo sui social per scoprire comportamenti scorretti da parte di un dipendente non è un'azione da condannare a priori, purché il controllo sia finalizzato a tutelare l’integrità e la sicurezza dell’organizzazione aziendale. In altre parole, la giurisprudenza appare disposta a tollerare comportamenti ingannevoli, sebbene mirati e circoscritti, a patto che non vengano violati i principi di proporzionalità e minimizzazione degli impatti sulla privacy del lavoratore.
Le Implicazioni per i Lavoratori e i Datori di Lavoro
La decisione della Cassazione ha importanti implicazioni per il rapporto di lavoro e per i diritti di privacy dei lavoratori. Se da un lato, la sentenza stabilisce che i datori di lavoro possono adottare misure di controllo per proteggere gli interessi aziendali, dall’altro lato pone un limite alla possibilità di sorvegliare i dipendenti senza rispettare i diritti alla riservatezza e alla dignità.
L’approvazione di questa modalità di controllo non significa che ogni tipo di investigazione possa essere giustificata da motivazioni aziendali. È importante che i datori di lavoro si attengano ai principi di trasparenza, proporzionalità e non invasività, evitando di oltrepassare i limiti stabiliti dalla legge e di ledere la libertà dei lavoratori. In questo contesto, la creazione di un falso profilo sui social non può essere una prassi diffusa e generalizzata, ma deve essere limitata ai casi in cui vi siano sospetti concreti e documentabili di violazioni gravi.
Conclusioni
La sentenza n. 10955/2015 della Corte di Cassazione ha fatto luce su una questione controversa, stabilendo che l’uso di un falso profilo social da parte di un datore di lavoro per monitorare un dipendente non è automaticamente illecito, a condizione che il controllo non sia eccessivo e che persegua obiettivi legittimi di protezione aziendale. Sebbene il comportamento possa apparire ingannevole, la Corte ha ritenuto che la protezione dei beni aziendali e la sicurezza degli impianti giustifichino, in alcune circostanze, l’adozione di misure straordinarie come il controllo tramite un profilo finto. Tuttavia, questo non significa che tale pratica sia priva di limiti: il datore di lavoro deve sempre bilanciare la necessità di tutelare l'azienda con il rispetto dei diritti fondamentali del lavoratore.
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